Lasciata l'Einaudi vinco una mia naturale tendenza a negarmi i pensieri più folli. Oddio non sto parlando di chissà cosa. Siamo sempre nell'ambito librario. Decido di mandare un curriculum in Feltrinelli. Conoscevo la libreria di Via Manzoni. Ci andavo due volte alla settimana prima di recarmi a lezione di inglese al British Council che si trovava a pochi metri. Giravo, guardavo i libri e i librai. Li guardavo lavorare e mi sembrava che sapessero bene cosa fare. Mi sembravano orgogliosi del loro badge, appuntato alle camice che li identificavano come librai Feltrinelli. Mi sembrava che avessero un ruolo. Forse in quel momento ho imboccato una strada sensa uscita: ho cominciato a pensare che il mio destino fosse proprio la libreria. Pensavo che nel mio dna ci fosse questo mestiere. E ho cominciato a sovrapporre quello che facevo a quello che ero. Ecco il problema: ho cominciato a pensare di essere una libraia. Insomma mando il curriculum e dopo un paio di settimane vengo convocata per un colloquio. Parlo con Romano Montroni, allora leader maximo delle librerie Feltrinelli e con Valerio Giuntini, direttore della sede di Via Manzoni e, allora, erede designato di Montroni. Un'ora di colloquio e poi niente. Nessuna risposta. Passo i giorni aspettando una telefonata. Ma il sogno feltrinelliano non doveva essere realizzato. Non a quel punto. Una domenica vado a Belgioioso a vedere una delle prime edizioni della Mostra del piccolo editore. Ne avevo scoperto l'esistenza perché all'epoca studiavo all'università di Pavia e facevo visita, tutti i giorni, ad un libraio della città che ne aveva attaccato in vetrina il volantino. Devo dire che da questo libraio ho trascorso forse più ore che in aula. Mi regalò una copia del Procuratore della Giudea dicendo: "Si vede che ami tanto i libri, si capisce da come li tocchi." A Belgioioso conosco Gerardo Mastrullo, direttore della libreria Garzanti che, in quegli anni era in Galleria Vittorio Emanuele. Ora non c'è più, già da un po'. Era stata sostituita da un negozio di cravatte. Non so se sia ancora così. Iniziamo a parlare e ci salutiamo con la promessa di andarlo a trovare in negozio. Per farla breve inizio a lavorare in Garzanti. Sempre in nero naturalmente. E anche in questo caso non mi tocca lavorare nella sede principale ma in quella defilata e sfigata di Via Meravigli. Sono ancora troppo giovane e troppo piena di entusiasmo. Quel lavoro mi piace. Imparo e mi impegno. Sempre. La gioia di sostituire per una settimana una collega in ferie e una settimana nella sede in Galleria. Quella era una signora libreria e io sono una spugna di curiosità che assorbe tutto: titoli, editori, autori. Ma la settimana finisce e devo tornare nelle retrovie. E di contratto non se ne parla. Gerardo Mastrullo resta uno dei personaggi più inquietanti incontrati nella mia non breve carriera. Basso, con le punte dei piedi rivolte verso l'interno che, unite a un sedere basso e non piccolo, gli conferiva una camminata da pennuto. Lo si sarebbe detto un pupazzo bonaccione. Ma se si prendeva la briga di alzare lo sguardo e di guardargli il viso si notava un perenne sogghigno a mala pena nascosto dalla barba. E due occhietti sfuggenti e a fessura che lasciavano trasparire qualcosa di ambiguo. Aveva un tono di voce basso, mellifluo e monotòno. Quello che ha usato per un anno per farmi credere che sarei stata presto assunta. Invece per un anno ho lavorato tutti i giorni, tutto il giorno con la mia bella ritenuta d'acconto. Però venivo pagata ogni tre mesi perché così potevano sostenere che fosse una prestazione occasionale. Ma a me quel lavoro continuava a piacere. Ero giovane e pensavo che fosse una inevitabile gavetta. E intanto continuavo a imparare. Senza scuole o corsi di formazione, ma a suon di fatica e ore e ore passate in negozio. Il problema è che in via Meravigli, in quella libreria dimenticata da dio e, quasi, dagli uomini passavo tante ore da sola. E cominciavo ad annoiarmi. Un giorno sul Corriere della Sera leggo questo annuncio: "Catena di librerie cerca responsabile del settore di varia. Con esperienza." È la volta buona mi dico. Si ricomincia. Rispondo all'annuncio, faccio il colloquio e per la prima volta nella mia vita vengo regolarmente assunta. Terzo livello del contratto del commercio. Guardo e riguardo il mio primo contratto. Nessun incarico da responsabile in realtà ma, vabbè, una piccola bugia ma c'è l'assunzione regolare. E il virus della fregatura continua la sua strada. È il 1993 e approdo al Libraccio. Cinque anni di lavoro matto e disperatissimo. Per la prima volta lavoro con un vero gruppo di persone e il concetto di microcosmo lavorativo farà la sua comparsa nella mia vita.
Continua...
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