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venerdì 10 gennaio 2014

Libri da piazza


In attesa dell'espletamento delle pratiche burocratiche (in fondo un apetto itinerante, che vende libri è commercio ambulante) per poter girare per i paesi con i libri, continuo l'esperimento del viaggio attraverso i libripaese. Ieri ho fatto una passeggiate per il paese dove abito, sull'onda di un'altra somiglianza tra fogli e borghi. Non credo esistano libri adatti per essere letti in spiaggia o in montagna o al lago o davanti al fuoco. Però penso che esistano parole adatte ad essere lette in una piazzetta, parole adatte ad essere lette in un vicolo o sui gradini di una chiesa (anche una brutta chiesa, come quella del paese in cui vivo). 

Per fare questo esperimento avevo bisogno di qualcosa di breve, un racconto. Così ho rispolverato un libro bellissimo che vi consiglio di procurarvi: "All'alba di una nebulosa giovinezza" di Andrej Platonov negli Oscar Mondadori. Platonov, scrittore russo, zittito in patria (erano anni duri) e pubblicato in gran parte postumo.

I libri, come i paesi, si attraversano anche fisicamente e i loro angoli, le ombre che cadono sghembe con strani e a volte bizzarri disegni, colpiscono la pelle prima del pensiero. Così ci sono angoli più "giusti" di altri. Mi siedo dunque in una piccola piazzetta. Ci andavo sempre quando ero piccola perché c'è un pozzo e sembra quasi un frammento di villaggio messicano. Con i miei amici sembrava di calarsi in un altro mondo, lontano. Poco importava che, a pochi metri da lì, ci fossero le nostre case, le camerette da letto e i salotti con i mobili anni '70. Qui non ci sono panchine dunque mi siedo (un po' scomoda per la verità) sul rialzo in pietra che circonda questo finto pozzetto. Non fa neanche tanto freddo. Tiro fuori il libro dalla tasca e, proprio come quando ero piccola, mi immergo in un luogo lontano: la Germania anni '30 e rileggo la storia di Albert, operaio disoccupato tedesco in quegli anni assurdi. Protagonista del racconto "Vento dalle immondizie". Mi chiedo se qualcuno, dalle finestre delle villette che mi circondano, sta guardando questa strana persona che si è seduta li a leggere. Ma leggere all'aperto, nei luoghi apparentemente più strani e non deputati alla lettura (forse) è un modo per restare nella concretezza delle cose.

La concretezza che è quella della luce grigia su questa piazzetta, la concretezza dei ricordi. Un gesto, come quello di leggere, che non è necessariamente un gesto da compiersi in un luogo chiuso, comodo o, forse, meno insolito. Un gesto che può essere condiviso anche nella sua componente di visibilità. Forse c'è un collegamento tra il titolo di questo libro e il fatto che, in questa piazza venissi a giocare quando ero piccola. 

Faccialibro o paeselibro ?


Perché un libro mi ricorda un paese? O almeno perché alcuni libri mi ricordano un paese? In prima battuta mi viene da dire che la somiglianza la ritrovo nel modo di fruizione temporale: lenta, frammentaria, apparentemente sonnacchiosa; e, talvolta, non solo apparentemente. Ma anche per una certa tendenza a rileggere, sempre più marcata con il passare degli anni. E rileggere è un esercizio utile anche quando si vuole attraversare un paese: tanto più piccolo e moribondo quanto più offre materiale di lettura e rilettura. Almeno per quanto mi riguarda ho capito che ciò che spesso mi ha spinto a rileggere un libro non è stato, come credevo, la sua vitalità; al contrario mi accorgo che è stata proprio la sensazione che qualcosa agonizzasse e avesse bisogno di un'altra possibilità. 

Ma credo sia possibile, per certi versi, trovare anche una somiglianza in quella che mi piace chiamare "urbanistica letteraria". Alcuni libri sembrano davvero avere una struttura che sembra quella attorno a cui si sviluppa un paese: una piazza, un bar, un centro storico (spesso ad uso dei turisti della domenica) e angoli non più "visti" neanche dagli stessi paesani. D'istinto preferisco i libri "vecchi", imperfetti, in cui il tempo funziona come alleato. E che non violenta, come succede in alcuni paesi, la storia; con innesti edilizi che nulla hanno a che fare con la natura del luogo. Per questo l'editing è, con la traduzione, il lavoro più difficile, delicato e male praticato da noi (almeno in moltissimi casi). 

Esiste una ricerca chiamata "Geografie dell'abbandono" realizzata, se non ricordo male, dal Politecnico di Milano e dall'Università Federico II di Napoli: tale ricerca analizza alcune delle cause che hanno portato all'abbandono di interi paesi con l'abdicare degli stessi dalla loro funzione di "tenere insieme". Disperdersi è più facile, in apparenza. In un paese, come in un libro, talvolta sembra più facile trovare motivi per andarsene. E vivere in città (best seller) o in una qualche squallida periferia (prodotto di marketing truccato da opera talentuosa). 
Questi appunti-scarabocchi-pensieridanulla sono solo la scrittura dell'idea di libri itineranti per borghi e paesi. Prevedo molte cancellature, correzioni, revisioni e rimesse a punto.
 

Il vento va e poi ritorna


Questo blog mi assomiglia: del tutto sconclusionato, sempre in bilico tra momenti di entusiasmo e momenti (lunghi) di silenzio. Del tutto incapace, io e il blog, di una seppur minima disciplina. Dimenticanze e distrazioni. Ma sempre lì. Cosa sia accaduto negli ultimi mesi ha portato con sé alcuni cambiamenti. Potevo restare impantanata in uno stagno pericoloso di immobilismo, crogiolandomi in un senso di fallimento che poco lontano porta. Non sto a dire quali progetti si siano arenati, quali si stiano ridimensionando lasciando presagire la loro sparizione (più o meno prossima) solo per restare nell'ambito lavorativo. Ma questo non ha nessuna importanza né per me né per chi, eventualmente, stia leggendo questo pezzo. Ma i momenti in cui quello che si stava facendo con entusiasmo si frange contro un muro, sono anche i momenti che impongono una pausa; magari forzata ma che può rivelarsi proficua e gravida. In soccorso, come sempre, molto più di quanto io stesa sia disposta ad ammettere, i libri. Uno, in particolare: "Terracarne" di Franco Arminio. La mia conoscenza di questo scrittore (scrittore nel senso etico della parola) risale a qualche anno fa. Mi ritrovai tra le mani, con quella casualità tipica delle cose necessarie, il suo libro "Vento forte tra Lacedonia e Candela", venendo così a scoprire la paesologia. Un seme era stato gettato nella mia testa. Poi, come spesso mi succede, idee si sono sperse in mille rivoli e altre sono state abortite. Ma qualcosa è restato a chiamarmi, a intermittenza, come un testardo promemoria. Anche quando sembrava dimenticato. Arminio non lo sa ma è il mio maestro. Per molte cose. E, forse senza neanche rendermene conto, la sua paesologia ha continuato a lavorare dentro di me, intersecandosi con il mio mai sopito amore per le parole e per i libri. E, ora, un'idea sghemba, tutta da coccolare e da far crescere: l'idea di una vendita di libri, itinerante, attraverso i piccoli e piccolissimi paesi italiani. O almeno alcuni. Al di la dell'aspetto burocratico (che so farà traballare molto la mia non certo titanica forza di volontà) sarà un progetto, forse un sogno. Ma già il pensarlo mi sembra bello. L'Italia ha nei paesi la sua storia più vera, la sua autenticità e, spero, la sua più sommersa possibilità di riscatto. E non perché i paesi siano luoghi ameni e paradisiaci. Al contrario. Leggete Arminio. Ma proprio perché, talvolta metafore di abbandono e squallore, possono essere i giusti compagni di viaggio di un'altra "cosa" spesso abbandonata: i libri e l'importanza che essi hanno. Come si strutturerà questa idea ancora non so. E forse il bello è proprio quello. Posso solo suggerirvi una cosa: leggete Arminio