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martedì 16 novembre 2010

Una storia lunga vent'anni e più II puntata

E così, dopo nove mesi dal primo impiego in nero, partorisco un licenziamento in nero. Quella che sarebbe stata la decisione più saggia e cioè dimenticare il lavoro in libreria, purtroppo dura poco. Durante una delle mie passeggiate pigre per Milano entro nella libreria Einaudi che allora stava in Galleria Manzoni. Una libreria bellissima, un luogo magico pieno di storia e libri. Ma libri veri, libri importanti. tanti, tantissimi libri. Un catalogo che conoscevo dalle mie letture. E un nome, Einaudi, che mi faceva tremare le vene. Due piani di pagine, con i passi resi ovattati da una specie di moquette, i mobili scuri e gli occhi a lottare con una luce resa troppo forte dal buio esterno. Mi sembrava di essere su un palcoscenico. Chiedo se posso lasciare il mio curriculum e mi viene detto di portarlo nella sede di Via Goito al signor Piero, responsabile ad interim dei due negozi. Mi precipito nella via che ospita il famoso e famigerato liceo Parini. E trovo una deliziosa bottega, una libreria a forma di libreria, con soppalco e saletta che da su un cortiletto silenzioso. Il germe dell'illusione si insinua dentro di me subdolo e suadente. Parlo con questo Piero, un uomo piccolo, con una gran barba e due occhi nerissimi e inquieti. Scoprirò solo dopo quanto sia seria quell'inquietudine. Insomma inizio a lavorare per l'Einaudi. Anche qui tante belle parole, tanti bei propositi e nessun contratto. L'altra fregatura era l'orario di lavoro. Dal momento che il negozio era, come dicevo, davanti ad una scuola, faceva anche servizio di cartoleria e doveva aprire prima dell'ingresso in aula degli studenti; cioè alle 7 e 15. Quindi io avrei lavorato li e non nella sede principale, dalle 7 e 15 alle 15 e 30. Da sola. Il mio maestro si rivelava ogni giorno di più un uomo pieno di seri problemi, di sbalzi d'umore leggermente sopra le righe. Un uomo buonissimo ma fatto a pezzi da una brutta forma di schizofrenia. Momenti di lucidità in cui mi insegnava un mestiere si alternavano ad altri fatti di discorsi deliranti e, per me, ingestibili. Il negozio lavorava pochissimo. Io in pratica ero ridotta a fare la cartolaia che vendeva fogli protocollo per i compiti in classe dei figli della buona borghesia, penne e, qualche volta, classici latini e greci. L'unico momento in cui mi divertivo era quando, con la bici, portavo i libri a casa di Milva, la cantante, che era una cliente. E quando potevo lavorare qualche ora nella sede principale. Per il resto era una sensazione di angoscia ogni mattina. Parlai con Piero e gli dissi che volevo andarmene. La reazione fu piuttosto scomposta. Appena ritrovata un po' di calma mi disse che aveva già fissato un appuntamento con l'allora direttore commerciale dell'Einaudi  per farmi assumere. Era una bugia solo a metà. L'appuntamento c'era davvero ma il contratto di cui si parlò fu quello a ritenuta d'acconto. Ricordo il colloquio quel giorno: io, Piero e il direttore commerciale l'un contro l'altro armati. Io piena di rancore per una promessa falsa, il direttore incazzato nero con Piero per aver raccontato una balla e Piero che stava per piombare in uno dei suoi viaggi lontani e imprendibili.
Una sera il direttore commerciale indisse una riunione nella libreria di Galleria Manzoni. La situazione stava diventando preoccupante, fu l'unica cosa che mi venne anticipata. Quando arrivai capii che la riunione era in realtà un processo a Piero che, ovviamente era assente. Fu dichiarata con ben poca sensibilità la sua malattia e l'intenzione dell'azienda di allontanarlo. Il direttore commerciale parlando di lui non lo chiamava mai per nome ma con l'epiteto di pazzo. Come io abbia fatto a resistere un anno in quel posto lo sa solo dio. Forse ero pazza anch'io. Però avevo cominciato ad imparare un mestiere grazie al pazzo. Me ne andai e non seppi più nulla di lui. Anni dopo lo incontrai alla presentazione di un libro di Verdiglione. Mi sembrava disperato e completamente perso. Gli occhi rossi e nervosi. Mi vide ma si girò dall'altra parte e sparì. Si era conclusa anche la mia avventura in quello che sembrava essere il tempio della cultura.

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